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Essere Caregiver

A cura delle dott.sse Silvia Balla e Roberta Grasso, psicologhe psicoterapeute.

IL “CARICO” FAMILIARE

Il ruolo di caregiver è particolarmente delicato dal punto di vista psicologico, poiché si crea una condizione di vita che lo espone a gravi situazioni di stress e pressioni psicologiche.
Il lavoro di cura espone, infatti, al rischio di sperimentare stress fisico ed emotivo, portando alla paradossale situazione di fornire da una parte un grande aiuto al malato e dall’altra di pagare un forte prezzo personale.


Per comprendere meglio questo disagio possiamo riflettere sui differenti fattori che vi incidono, come risorse o limiti:

  • fattori legati al contesto -  come la presenza di una rete familiare/sociale o l’appoggiodei servizi
  • fattori oggettivi– come lo stato di salute personale o il livello di autostima
  • fattori soggettivi - come il senso di sovraccarico e di isolamento
  • fattori secondari- come la presenza di conflitti familiari, lavorativi o problemi economici.

In letteratura è ben descritto come il prestare assistenza implichi un coinvolgimento da parte del caregiver, sia sul piano fisico che sul piano emotivo, con evidenti ricadute sulla sua vita. Per descrivere gli effetti dell’assistenza sui caregiver viene usata l’espressione “burden” o “carico” familiare, riferendosi alle conseguenze correlate alla presenza di un familiare affetto da una grave patologia.


Il  “carico oggettivo” comprende le difficoltà materiali che insorgono nella relazione di assistenza: cure personali all’assistito, preparazione dei pasti, controllo nell’assunzione di farmaci, mantenimento dei contatti con i servizi sanitari e sociali. Il burden oggettivo, in mancanza di una solida rete familiare e sociale di supporto, può portare il caregiver ad abbandonare il suo lavoro con conseguenti difficoltà finanziarie, a ridurre il tempo dedicato agli altri familiari, a limitare grandemente le relazioni sociali e i momenti di svago, nonché a cambiare radicalmente le abitudini di una vita consolidata. Nelle situazioni più complesse, i caregiver hanno la giornata interamente occupata e strutturata dal lavoro di cura; una giornata che, salvo qualche breve intervallo, si svolge tutta all’interno della casa.


Il “carico soggettivo” - si riferisce agli atteggiamenti ed i sentimenti che il caregiver nutre nei confronti dell’assistito e della situazione nella quale si è venuto a trovare, con conseguenze sulla salute fisica e mentale.


Il livello di carico “oggettivo”, dunque il peso materiale, appare significativamente correlato al carico “soggettivo”, inteso come il senso di fatica percepita; la fatica fisica e/o mentale sperimentata dal caregiver è infatti direttamente proporzionale al grado di non autosufficienza della persona di cui si occupa: appaiono determinanti l’entità e il tipo di bisogni della persona malata, il peso della cura in termini di tempo, l’ampiezza e l’articolazione del gruppo di persone che se ne prendono cura.


IL DISAGIO DEI CAREGIVER

Il prestare cure è un’attività lodevole, ma spesso difficile e destabilizzante per colui che si ritrova in questo ruolo. Questa situazione è fisiologica, perché le malattie sono “eventi critici” che cambiano la relazione familiare: dall’ordinario scambio di assistenza si passa ad un carico assistenziale straordinario e non egualmente distribuito, vi è una profonda ristrutturazione di una precedente relazione stabile, l’aiuto e assistenza diventano unidirezionali; spesso proprio la trasformazione della relazione significativa è, di per sé, la principale fonte di sofferenza per chi si prende cura.

Spesso è una realtà in cui il caregiver è costretto a dover mediare tra i propri bisogni, quelli della persona che assiste, quelli del mondo del lavoro e rischia di accantonare le proprie esigenze con ricadute importanti sul suo equilibrio psicofisico. Come caregiver, nella quotidianità, spesso sono i propri bisogni personali a passare inosservati; spesso non vengono neanche più percepiti.
Quello che i familiari vivono nel momento in cui diventano “caregiver”, può essere definito “terremoto emotivo”.

Diventare caregiver significa dover modificare il proprio ruolo in relazione alla persona malata, riorganizzare la propria vita, apprendere tecniche e comportamenti del tutto nuovi per fronteggiare le difficoltà. Si sperimentano molte emozioni, tra loro opposte, e si fa fatica.


Con il progredire della malattia e l’aumentare dell’assistenza, nella letteratura sul tema emerge come i vissuti più frequenti per i familiari siano il senso di perdita, la solitudine, la rabbia, la paura, l’impotenza e la tristezza. I caregiver si trovano spesso a confrontarsi con le difficoltà comunicative, il vivere la malattia in termini di perdita, i sentimenti di inadeguatezza o di colpa. Spesso sono presenti vissuti di sfiducia che portano a chiudersi, così come è tipico il senso di onnipotenza cui spesso consegue un senso di costrizione in relazione al bisogno di spazi personali. Il senso di stanchezza emotiva e la paura di non farcela sono comuni nei caregiver, esistono momenti nei quali viene percepita una sproporzione enorme tra le richieste con cui si confrontano e le risorse che sentono di avere. Prendere consapevolezza di queste emozioni e condividerle significa mettersi nella condizione di poter provare ad affrontarle secondo modalità più efficaci.

 

 

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